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le prime relazioni con p. giordani | 87 |
due odi greche, tratte, dicevasi, dal medesimo manoscritto che conteneva l’Inno, e delle quali si dava, insieme col supposto originale antico, una traduzione latina. Tutti i dotti restarono presi all’inganno; e il Custode della Vaticana, supponendo che nessun altra biblioteca potesse possedere il prezioso manoscritto dove l’Inno era stato rinvenuto, giurava che avrebbe scoperto chi ne lo aveva cavato fuori senza saputa sua.
Nessuna meraviglia che parecchi credessero autentico l’Inno; sono di quelle cose sempre accadute e che sempre accadranno. Non c’è anche oggi chi si ostina a credere scritture autentiche del Leopardi le contraffazioni di Ilario Tacchi? non c’ è forse una sentenza di tribunale, la quale conferma che il vero autore delle contraffazioni del Tacchi è Giacomo Leopardi in persona? Il Giordani, che lesse l’Inno senza accorgersi neppur lui dell’ inganno, rimase ammirato più che altro della tanta erudizione delle note; e quando seppe il vero proruppe: «Oh chi potrebbe oggi in Italia far tali scherzi; e inni greci e odi anacreontiche!»1
Della traduzione del secondo libro dell‘Eneide, sappiamo che il Leopardi, appena compiutala, era molto contento; ma dopo le critiche del Monti, se non la condannò subito interamente, scrisse però al Giordani: «Che il mio libretto avesse molti difetti lo credea prima, ora lo giurerei perchè me lo ha detto il Monti; carissimo e desideratissimo detto.»2 E non passò molto tempo che condannò anche quella traduzione, come tutte le altre cose sue giovanili.
In tutto l’anno 1817, oltre la versione dei Frammenti di Dionigi fatta, come dissi, nel gennaio, e la Lettera al Giordani sopra il Dionigi del Mai com-