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80 capitolo iv.

vente, parve a Giacomo e fu una grande fortuna. Egli sentì subito, ricevuta la seconda lettera, che quello era l’uomo che gli mancava; la guida, il consigliere, l’amico; l’uomo per mezzo del quale poteva entrare in comunicazione con quel mondo là fuori, a cui tanto anelava e che gli era conteso. E si aggrappò a lui, come il naufrago alla tavola che può essere l’unica sua salvezza.


Nella corrispondenza epistolare, che nei primi cinque anni, finché Giacomo non uscì di Recanati, durò calda e nutrita fra loro, è gran parte della vita intellettuale ed affettiva di Giacomo: le lunghe e bellissime lettere sue all’amico sono stupende pagine di autobiografia, e sono della prosa più bella ch’egli abbia mai scritta. Quanto cammino aveva fatto in pochi mesi il giovine che dal preambolo alla traduzione dell‘Eneide era arrivato alle due lettere al Giordani del 21 marzo e del 30 aprile 1817! Il Giordani scriveva a qualche amico che solo Dante avrebbe potuto scriver le lettere ch’ egli riceveva dal Leopardi. Invece è chiaro che Dante non avrebbe potuto scriverle; ma anche chiaro che ciò che nel suo entusiasmo voleva dire il Giordani era la verità.

Con la lettera del 21 marzo il Leopardi avverte l’amico che gli manda per mezzo dello Stella un manoscritto, affinchè lo legga e gli dica se gli pare buono per le fiamme. Era la cantica su l‘Appressamento della morte.

II Giordani parte aveva indovinato, parte aveva saputo dallo Stella che il Leopardi, di complessione delicata, si era rovinato e si rovinava la saluto coll’eccessiva applicazione; e fin dalle prime lettere lo aveva supplicato di moderarsi e di alternare allo stu-