che dovrà abbreviarne la lunga storia affinché “nessuno per colpa sua debba rinunziare al proprio racconto.„ Ma ben piú largamente, dobbiamo confessarlo, il Chaucer avrebbe potuto sfrondare dalla selva epico-romanzesca della Teseide, se troppo spesso non si fosse compiaciuto, anche egli, di quelle lunghe e noiose descrizioni, piú tollerabili ad ogni modo in un poema che in un racconto in forma di novella, e di quelle tirate rettoriche, a base di mitologia e di storia sacra, che sono l’indispensabile bagaglio poetico di quasi tutti gli scrittori dell’età di mezzo, in cui si preferiva all’aurea semplicità di Virgilio la gonfia rettorica di Stazio. La minuta descrizione di tutte le figure istoriate nei tre templi del grande anfiteatro destinato al torneo, l’enumerazione delle varie specie di alberi e di piante onde fu eretto il rogo di Arcita, gli epici particolari dei suoi funerali, che il Cavaliere poteva risparmiare ai suoi compagni di via senza punto nuocere all’interesse della sua novella, dimostrano che il Chaucer non si lasciò consigliare sempre dall’arte e dal