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novella del cavaliere. 71

che si ridusse secco come un uscio.2 Aveva gli occhi infossati che facevano impressione a guardarli, la faccia smunta e pallida come la cenere spenta. Stava sempre solo, lontano da tutti, e la notte non faceva che piangere e disperarsi. Se sentiva qualcuno cantare o suonare, cominciava a piangere e non la finiva più. Era così accasciato ed avvilito, così completamente cambiato, che non si riconosceva piú neppure la sua voce, sentendolo parlare.

Andava girando per il mondo con l’aria non di un povero innamorato colpito dal male di Eros, ma con l’aspetto di un matto. Pareva un disgraziato al quale l’umor tetro cacciandosi nella parte anteriore della scatola del pensiero, avesse mandato a spasso il ben dell’intelletto. L’organismo fisico e morale del misero amante era, insomma, tutto scombussolato. Ma perché dovrei passare il giorno intero a raccontarvi le sue pene?

Dunque, già da un anno o due Arcita era in mezzo a questi tormenti e a questi dolori, quando una notte, mentre dormiva,