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786 Chi l’ha detto? [2201]


quanto diversa da quella del sig. Campello, soggiunge: «Avrei creduto ad una parodia, ad una caricatura, se non avessi veduto coi miei occhi il foglietto stampato con tanto di lupa capitolina coi gemelli.»

Lo stesso sig. Campello nei citati Ricordi (pag. 179) narra di avere assistito al Teatro Valle alla tragedia Stilicone di un Giovanni (o meglio Lorenzo?) Marchetti. «Al quarto atto, quando il primo attore, chiese alla prima donna: Sailo? ed ella: Sollo!, a che seguì il tiranno dicendo:

Sassi, sì, sassi ancor per tutta Atene.

E sassate all’autore! gridò il pubblico».

Ma in Toscana ho sentito invece citare il verso così:

2201.   Sassi in Atene e in tutta Roma sassi.

e dei vecchi Fiorentini mi hanno assicurato che era in una tragedia dell’avvocato pure fiorentino, dott. Giuseppe Vedeche. Però in quelle fra le tragedie del Vedeche che sono a stampa (Teatro drammatico, Firenze, Mazzoni, 1844, voll. 2) il verso non c’è.

Popolarissima a Napoli e in tutta l’Italia meridionale è invece la fama di Ferdinando Incarriga e delle sue spropositate poesie. L’Incarriga, nato negli ultimi anni del secolo XVIII, fu giudice della Gran Corte Criminale a Potenza e altrove e finalmente a S. Maria Capua Vetere, dove chiuse la sua carriera. Le celebri poesie ebbero una prima edizione nel 1834: Opuscolo che contiene la raccolta di cento anacreontiche su di talune scienze, belle arti, virtù, vizi e diversi altri soggetti, di Ferdinando Incarriga, giudice della Gran Corte in Salerno, composto per solo uso de’ giovinetti. Napoli, Dallo Stab, tipogr. dell’Aquila, 1834, in-16, pag. 56. L’edizione è più che rara, introvabile oggi, anche perchè appena pubblicata, andò a ruba e ben presto fu esaurita, sia per il successo strepitoso, sia perchè la famiglia dell’autore ne comprò di nascosto quante più copie potè per distruggerle. Ma era tempo perso. Subito ne comparve una seconda edizione, poi una terza, una quarta, una decima; e il volumetto si ristampa ancora. Che razza di roba siano queste anacreontiche basterebbe a rivelarlo l’osservazione che sta a tergo del frontespizio: «L’Autore ha inteso raccogliere in otto versi (o due volte quattro) l’argomento