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[1904] | Le frasi storiche della Grande Guerra | 695 |
contrastava con quel che ripetevano i personaggi ufficiali, cioè che la Germania non aveva mai voluto la guerra. Però devo dire che in tutte le stampe della poesia che ho veduto, sia dei primi anni della guerra, sia più tarde, la strofa incriminata era sempre al suo posto.
Ma fra tutti questi canti di ferocia il primato è tenuto dal Canto dell’odio di Heinrich Vierordt, poeta pure assai noto in Germania; questa poesia sollevò largo consenso fra i tedeschi - non senza qualche riserva da parte di spiriti più equilibrati (il Vierordt stesso si duole di una fiera rampogna stampata contro di lui da un pastore wurtemberghese) - ma anche suscitò la riprovazione di quanti all’estero vollero giudicare obiettivamente e con senso di umanità. Ai rimproveri mossigli rispose il Vierordt con una lettera polemica alle Basler Nachrichten del 15 ottobre 1914, nella quale egli difende questa sua composizione; ma se le citazioni che ne ho vedute (per es. nel già citato volume del François, Condamnés par eux-mêmes, pag. 79, 169, 170) sono esattamente riportate, la difesa sarebbe anche più pazzesca e cannibalesca della poesia. Del resto anche questa non mi è nota che attraverso le traduzioni che però sono molte, di fonti diverse e qualcuna degnissima di fede: quindi ho ragione di crederle esatte. Il brano più tristamente famoso è il seguente!
1904. O odio tedesco! Sfonda i petti di milioni dei tuoi nemici e costruisci un monumento di fumanti cadaveri che salga sino alle nuvole.... Nessun prigioniero! Falli tutti muti! Fa’ delle terre intorno a te un deserto!
Il canto del Vierordt, sulla cui autenticità non si può sollevare dubbio, nulla ha che fare con altro «canto dell’odio», di autore sconosciuto, che rivaleggia col primo in bestiale ferocia, ma di cui non soltanto mi è ignoto il testo originale, ma non ho trovato menzione alcuna in nessuno dei libri tedeschi che ho potuto consultare: esso è più conosciuto fra noi, perchè fu largamente diffuso, a scopo di propaganda antitedesca, nel nostro esercito e poi fra le altre truppe dell’Intesa - naturalmente tradotto - sotto