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[1866] Le frasi storiche della Grande Guerra 655

alcuna di quest’attribuzione e che la strofa del Fusinato in fondo non provava nulla perchè nel discorso imaginato dal poeta poteva trovar luogo una frase detta da altri ma che rispecchiava i sentimenti veri o attribuiti del generale, mostrava ritenere ch’dovesse invece ascriversi al Thiers sulla fede di Ernesto Teodoro Moneta il quale nella relazione letta il 10 marzo 1912 alla assemblea generale della Unione lombarda per la pace e pubblicata poi in tre successivi numeri della Vita internazionale, ebbe a dire cosi: «E fu ad Ivrea dove si ebbe la più grave ripercussione della rotta di Novara.... e fu là che qualche giorno dopo lessi sui giornali le parole pronunciate da Thiers dalla tribuna francese: Les italiens ne se battent pas, parole che furono per me amarissime».

Il ricordo così preciso del Moneta parve, non senza ragione, all’on. Meda molto significativo ed egli fece per poterlo meglio confermare delle ricerche che a poco approdarono: egli trovò invece altre assegnazioni della triste frase, all’Oudinot, al Leblanc, ma dei particolari di queste ipotesi e delle varie autorità sulle quali si appoggiano faccio grazia al lettore rimandandolo all’articolo dell’ on. Meda. La discussione da lui sollevata non si fermò li; lo stesso Meda riassunse la questione, con qualche ritocco, in un articolo intitolato dalla frase famosa in Vita e Pensiero, di Milano, fasec. 56, del 20 agosto 1918, pag. 345-354: intanto il signor A. M. (cioè il dott. Antonio Monti) ancora nella Nuova. Antologia (fasc. 1118, del 16 agosto 1918, pag. 403-404) sosteneva che la paternità della frase fosse del generale Chrzanowski e l’on. Meda replicava nella rivista medesima (fasc. 1119, del 1° settembre 1918, pag. 98) combattendo tale attribuzione per tornare una terza volta sull’argomento nel fasc. del 1° ottobre, pag. 308-309. In quest’ ultimo scritto egli riprendeva la mia prima congettura, poiché varie testimonianze prodotte nella discussione mettevano fuori di dubbio che la frase fosse detta da Lamoricière, ma non dal Lamoricière di Castelfidardo, comandante dell’esercito pontificio, bensì dal Lamoricière repubblicano, ex-ministro della guerra nel 1849. vicepresidente dell’Assemblea Nazionale; e fra queste testimonianze la più conclusiva e quella di Francesco dall’Ongaro nel suo Almanacco di Giano, del 1849-50 a pag. 71:«La Repubblica romana ha salvato l’onor militare d’Italia compromesso sui campi di Novara e ricacciato in gola ala generale Lamoricière