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Le frasi storiche della Grande Guerra | 653 |
una sola parola, il pescecane, che è certamente nostra, ma che i Francesi accettarono subito traducendola in requin, anche perchè, se la parola esprime una ovvia e comune metafora, a renderla popolare contribuì senza dubbio il successo, poco avanti la guerra, della commedia di Dario Niccodemi, commediografo noto anche in Francia, la quale è intitolata appunto I pescicani e fu rappresentata per la prima volta a Milano, al teatro Manzoni, la sera del 28 novembre 1913. Qui i pescicani sono veramente quelle persone egoiste che tutto sacrificano per il loro piacere, per il loro utile, come il protagonista Gerardo spiega nell’atto II, scena IV: «Gli insaziabili, i rapaci, i divoratori, i malati della possessione, qualunque essa sia.... Gli uomini che passano nella vita come i pescicani nell’acqua, la gola spalancata, pronti a tutte le prede.... Pescicani di milioni, pescicani di esistenze, pescicani di gloria, pescicani di qualunque cosa!». Poi venne la guerra, cominciarono i primi processi contro i fornitori disonesti, e la parola fu trovata opportunissima a designare quei delinquenti (fu detta nel primo processo del genere, per frodi in forniture di farine, dinanzi al tribunale militare di Bologna nel gennaio 1916). e si estese poi a indicare tutti gli «arricchiti di guerra» che avessero edificato la loro fortuna con le ladrerie nelle forniture, con gl’indiscreti lucri nel commercio, con gli accaparramenti ecc.
Ora però siamo scivolati nel campo dell’argot di guerra, che esce dalle nostre indagini e che è stato ampiamente studiato, pochissimo a dir vero l’italiano (non trovo da ricordare che alcune pagine, buone come sempre, di Fra Agostino Gemelli nel volume Il nostro Soldato, pag. 188-190, un articolo di Giuseppe Prezzolini, Gergo di guerra, nel Resto del Carlino, di Bologna, del 5 giugno 1918 e un Vocabolario di trincea, tentativo interessante ma nulla di più, pubblicato da Piero Jahier in parecchi numeri dell’Astico, giornale delle trincee che si stampava a Piòvene, già ricordato poco sopra), un po’ di più il germanico, moltissimo il francese, sul quale sono comparsi una colluvie di libri, opuscoli, articoli di riviste e di giornali, nella maggior parte opera di dilettanti della filologia spicciola. Forse uno solo di questi libri ha vero valore scientifico, il volume di A. Dauzat, L’argot de la guerre (Paris, Colin. 1918): molto meno il libro di I.. Sainéant, L’argot des tranchées (Paris, De Boccard, 1915), in cui c’è qualcosa da