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[1455-1456] | Religione, Iddio | 491 |
l’episodio plutarchiano, contenente un interessante tentativo di interpretazione esoterica del mito, è stato pubblicato dal prof. Luigi Garello, nel volume: La morte di Pàn (Torino, Bocca, 1908).
Il medio evo fece del medico arabo di Cordova Ibn-Roscd, detto comunemente Averroè (fiorito nel sec. xii), il gran patriarca dell’ateismo. Cominciò con attribuirgli un libro famoso, il trattato de tribus impostoribus, che forse non è mai esistito, e fu imbastito sul blasfema famoso del mondo ingannato da tre furbi - Mosè, Gesù e Maometto - che fu nel medioevo attribuito a Federico II su esplicita accusa di Gregorio VII ma che quegli negò di aver mai detto (cfr. Huillard-Bréholles, Hist, diplom. Frid. II, V, 339) e anche ad altri, ma che forse è realmente di origine islamica, come dimostra L. Massignon nella Revue de l’histoire des réligions, to. LXXXII. 1920. pag. 74-78: ciò che spiega come lo si attribuisse ad Averroè. E la leggenda continuò mettendo a suo carico molte frasi che divennero il vangelo dell’incredulità. Tale è quella con la quale egli si sarebbe augurato di morire della morte dei filosofi, intendendo di dire senza pratiche religiose:
1455. Moriatur anima mea morte philosophorum.1
1456. Religio christianorum, religio impossibilium; religio judæorum, religio puerorum; religio Mahometanorum, religio porcorum.2
dicendo religione impossibile la cristiana a cagione del domma della Eucarestia, a proposito di che si narrava pure che ille maledictus Averröes, come solevano sempre chiamarlo i filosofi scolastici, entrato un giorno in una chiesa cristiana, e veduti i fedeli che si comunicavano, esclamasse «Evvi al mondo una setta più insensata dei cristiani, i quali mangiano il Dio che adorano?» Ma