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[1385-1388] Re e principi. Corte e nobiltà 467


che fu detto di Aladino tiranno di Gerusalemme e del mago Ismeno: e fu tolto da Pier Jacopo Martello come tìtolo di un suo curioso dramma, di cui gl’interlocutori sono tutte bestie, e dedicato pure ad un’altra bestia, al suo cane Po.

Eppure le corti dovrebbero essere ben diverse se coloro che le compongono si ricordassero sempre del motto della loro casta:

1385.   Noblesse oblige.1

che si attribuisce al duca P. M. G. de Lévis (1755-1830), poichè si legge nella sua raccolta di Maximes et Réflexions (1808, pag. 13, al § LI); ma di cui la prima fonte si può cercare in una sentenza di Boezio (De consolat. philosophiæ, lib. III, prosa VI, in fine): «Si quid est in nobilitate bonum. id esse arbitror solum, ut imposita nobilibus necessitudo videatur, ne a majorum virtute degenerent». Si studino perciò i nobili di emulare le virtù cavallsresche dei loro maggiori, quelle virtù che all’Ariosto facevano esclamare:


1386.   Oh gran bontà de’ cavalieri antiqui!

(Orlando furioso, c. I, ott. 22).
se non vogliono che si applichino anche a loro le amare parole dello scettico filosofo francese:


1387.   Les grands noms abaissent, au lieu d’élever ceux qui ne les savent pas soutenir.2

(Maximes de la Rochefoucald, § CXIV).

Altrimenti meglio essere modesti borghesi, di quelli che onorando il loro umile nome con la vita onesta ed operosa, si appagano di un semplice casato, senza titoli nè particelle nobiliari, ossia come disse il poeta milanese:

1388.    E bott lì, senza nanch on strass d’on Don.3


  1. 1385.   Nobiltà fa obbligo.
  2. 1387.   I grandi nomi abbassano, invece di elevare, coloro che non li sanno portare.
  3. 1388.   E basta così, senza neppure un cencio di Don.