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456 | Chi l’ha detto? | [1353-1354] |
cone del palazzo reale, simultaneamente la morte del re e l’avvento al trono del successore, affermando così la continuità non interrotta della carica reale, imperitura per quanto fossero mortali le persone che volta a volta la rivestivano. Le si udirono in Francia per l’ultima volta alle esequie di Luigi XVIII: il 24 ottobre 1824 nella chiesa di San Dionigi innanzi all’avello reale, il duca d’Uzès, che compiva le funzioni di gran maestro di palazzo, abbassò il suo bastone del comando, ne pose la punta entro la tomba e gridò: Le roi est mort. L’araldo d’armi ripetè per tre volte: Le roi est mort, e alla terza volta aggiunse: «Prions tous Dieu pour le repos de son âme.» Dopo un breve silenzio il duca d’Uzès rialzando il bastone gridò: Vive le roi, che ancora per tre volte fu ripetuto dall’araldo, e quindi tutti proruppero in acclamazioni per Carlo X, il nuovo padrone della Francia. A proposito del significato che si annetteva a questa formola rituale, si narra che appena arrivò al Louvre la notizia dell’assassinio di Enrico IV, i ministri corsero dalla regina, la quale vedendoli gridò: — «Il re è morto!» — «V’ingannate, signora, rispose il primo ministro Sillery, in Francia il re non muore mai.» —
Accanto a questa formola di rito è utile citare quest’altra tolta da un salmo della Bibbia per formarne il principio della pubblica preghiera pro Rege obbligatoria anticamente in certe funzioni, secondo l’uso che istituito da Adriano I con la messa che si diceva per il re di Francia nel principio di quaresima, fu nel progresso dei tempi abbracciato da tutte le nazioni cattoliche:
1353. Domine, salvum fac regem.1
1354. L’État c’est moi.2
fu l’orgogliosa risposta che Luigi XIV, ancora diciassettenne, il 13 aprile 1655, entrato nel Parlamento in abito da caccia col frustino in mano, avrebbe dato alle osservazioni del primo presidente che gli parlava degli interessi dello Stato. Ma è dessa autentica? Molti ne dubitano, p. es. Lavisse e Rambaud, nelle Histoire générale,