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384 Chi l’ha detto? [1170]


che dallo Schoel (Legis Duodecim Tabularum reliquiæ, Lipsiae, 1886, pag. 70, 100, 124 è collocata nella Tavola III, al n. 7. La cita Cicerone nel trattato De officiis (I, 12, 37). Lo Schoell per l’illustrazione di questa sentenza rimanda a: Puchta, Civil. Abh., pag. 1; Schroeterus, Obss. jur. civ., pag. 52; Theodor Mommsen, De auctoritate, § 3; Schoemann, Opusc., III, 409.

Ma si badi che anche questa è una delle molte sentenze che si citano a sproposito, e su questo punto lascio la parola al compianto prof. G. Rigutini (Roma Letteraria, a. X, n. 21-22): «Un’altra falsa interpretazione è quella di un passo della Legge delle Dodici Tavole, che dice: Adversum hostem aeterna auctoritas, passo che facilmente si ode in discorsi patriottici, per significare che non si deve transigere coi nemici della patria. Varj anni fa tonò con quella sua gran voce in pieno Parlamento l’on. Bovio questa disposizione delle Dodici Tavole, in una discussione, concernente l’Italia e l’Austria; e il ministro Crispi, rispondendo, non parve che a quelle parole desse spiegazione diversa dalla comune. Eppure il luogo degli Uffici di Cicerone, dove ricorre quel testo, avrebbe dovuto e dovrebbe escludere affatto che si parli di nemici. Ecco tutto il passo ciceroniano: “Voglio anche notare che colui, il quale con proprio vocabolo dovrebbe chiamarsi perduellis, è invece chiamato hostis, temperando la mitezza della parola l’acerbità della cosa. Di fatti nell’antica lingua hostis significava quel che oggi peregrinus. Esempi ne abbiamo nel testo delle Dodici Tavole, come Status die cum hoste (il giorno stabilito col forestiero per la comparizione in tribunale) o Adversus hostem aeterna auctoritas (ossia Contro al forestiero l’azione giuridica non vien mai prescritta). Ci può essere, seguita Cicerone, mitezza maggiore del chiamare con un nome così umano un nemico che si combatte colle armi?” (Off. I, c. 12). L’ignoranza adunque del primo significato della voce hostis, scusabile in chi non sa di latino, inescusabile in chi oltre il latino dovrebbe avere studiato anche il Diritto romano, è stata ed è cagione che questo passo delle Dodici Tavole venga spesso filato a sproposito.»

Barbari chiamavano gli antichi Romani tutti coloro che non erano cittadini dell’alma Roma, e non parlavano la sonora lingua del Lazio: quindi diceva Ovidio: