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366 | Chi l’ha detto? | [1108-1111] |
1108. Benedette figliuole! non veggo l’ora che si maritino!»
Nè basta di non dire ciò che non va detto, bisogna anche non dir troppo. Il ciel vi guardi dai chiacchieroni, dai parolai! Intanto essi cominciano con l’essere noiosi, poichè:
1109. Le secret d’ennuyer est celui de tout dire.1
e l’abile oratore come l’abile scrittore sanno trovare dei veri effetti rettorici tacendo a proposito ciò che va taciuto, o lasciato indovinare a chi legge od ascolta, tanto più che, come dice il volgare proverbio, a buon intenditor poche parole, ovvero come dice Plauto:
1110. Dictum sapienti sat est.2
ed ugualmente Terenzio nel Formione, v. 541 (pare fosse proverbio anche presso gli antichi Romani, cfr. Otto, Röm. Sprichw., n. 525). Il parolaio annoia pure perchè divaga di palo in frasca, facendo come:
1111.
.... L’ abate Cancellieri
Che principiava dal caval di Troia
E finìa colle molle pe’ brachieri.
Così Gius. Giovacchino Belli piacevoleggia in una Epistola in terza rima intitolata A Cesare Masini pittore e poeta (nei Versi inediti di G. B. Belli romano, Lucca, 1843, pag. 88); e di questa sua facezia pare che il Belli si compiacesse, perchè la ripete in una nota a un sonetto del 15 gennaio 1835 (L’anima del cursoretto apostolico) in questa forma: «governandosi in ciò come la buona memoria del ch.simo Francesco Cancellieri, il quale cominciava a parlare di ravanelli, e poi di ravanello in carota e di carota in melanzana, finiva con l’incendio di Troia.»