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358 | Chi l’ha detto? | [1084-1086] |
§ 51.
Ozio, industria, lavoro
La frase, tanto rimproverata a noi italiani, e specialmente ai meridionali, del
1084. Dolce far niente.
sembra derivi nientedimeno che da Plinio il giovane, il quale nel lib. VIII delle Epistole (ep. 9), scrisse: illud iners quidem jucundum tamen nihil agere, nihil esse. Anche Cicerone (De oratore, lib. II, cap. 24) pensava che: Nil agere delectat. Ma il rimprovero è poi giusto? Scriveva Pasquale Villari a tal proposito nelle Lettere meridionali (2a ediz., Torino, 1885, a pag. 48): «.... Io non voglio tralasciar di notare che questa gente così male compensata, è tra quelle che in Europa lavorano di più. Ricordo di aver letto una tale osservazione in un’ inchiesta inglese fatta per ordine di lord Palmerston. Ho conosciuto anche un tedesco, occupato molto nella escavazione delle miniere, il quale, essendo andato a passare alcuni mesi di riposo nelle campagne napoletane, mi disse un giorno a Firenze: — Il dolce far niente degli Italiani, almeno là dove io sono stato, è una calunnia atroce. Sarebbe impossibile piegare il nostro contadino o il nostro operaio ad un lavoro cosi duro e prolungato, come quello che fanno i vostri contadini. — » Si veda quello che in proposito è detto nelle Lettere da Napoli di W. Goethe nella trad, di Giustino Fortunato, a pag. 74 dell’ediz. di Napoli 1917.
Ecco il Giusti, che nel Gingillino (str. 2) rimbrotta la
1085. Ciurma sdraiata in vil prosopopea,
Che il suo beato non far nulla ostenta.
ma l’Apostolo minacciò gli oziosi di farli digiunare, poichè:
1086. Si quis non vult operari, nec manducet.1
- ↑ 1086. Se qualcuno non vuol lavorare, che nemmeno mangi.