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322 | Chi l’ha detto? | [1001-1002] |
bellicoso appello, una voce ignota dalla folla plaudente sclamò: Roma o Morte. — Sì, - ripetè più volte il Generale, - o Roma o Morte; — e questo grido, uscito forse dalle labbra inconscie d’un picciotto o d’un pescatore marsalese, diventò da quell’istante, per il fato delle parole, il segnacolo in vessillo d’una delle avventure più cimentose a cui mai Garibaldi siasi accinto ed abbia tentato strascinare l’Italia» (Guerzoni, Garibaldi, vol. II, pag. 302-303). È dunque errata la lapide che si legge in Pescia, sulla facciata della casa Allegretti in piazza Vittorio Emanuele, secondo la quale quelle fatidiche parole sarebbero state pronunziate da Garibaldi in quella città quando vi si recò nel luglio 1867 (Biagi, In Val di Nievole, pag. 21). Il grido di Garibaldi doveva risuonare invano per molti anni, finchè nel 1870 le armi italiane non liberavano Roma dal governo teocratico. Ma se la forza degli avvenimenti aveva condotto gl’Italiani a Roma, il difficile, dopo esserci entrati, era di restarci: però fin dai primi mesi del nuovo regime una voce augusta aveva solennemente ammonito:
1001. Ci siamo e ci resteremo.
Potremo metterci accanto l’Hic manebimus optime del quale ho già parlato (n. 344), e la frase:
1002. Roma conquista intangibile.