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[971] Nazioni, città, paesi 309


Infatti la città di Rovereto, patria del Vannetti, soltanto dal 1509 era diventata suddita della tedesca contea del Tirolo. Quanto al Principato vescovile di Trento, esso rimase indipendente sino dopo le guerre napoleoniche.

Questo sonetto non si trova stampato negli otto volumi delle Opere del Vannetti, pubblicati per cura dell’Accademia di Rovereto (Venezia, 1826-1831), e nemmeno nei due di Prose e Poesie inedite (Milano. 1836): circolò per molto tempo in copie a mano, finchè non fu stampato per la prima volta, credo, nell’opuscolo: Lettere inedite di Clementino Vannetti all’ab. Franc. Pederzani di Villa Lagarina (Rovereto, Sottochiesa, 1869). Il nome di «Trentino», usato oggi a designare quella italiana regione in luogo di quello artificioso e in ogni modo più generale e più indeterminato di «Tirolo meridionale» o «Tirolo italiano», non è di creazione recente, come molti scrittori tedeschi, per ragioni politiche, sostennero. Ne dette le prove Giovanni Pedrotti in uno scritto Sull’uso della parola “Trentino” nei vecchi scrittori della nostra regione, nella rivista Pro Cultura, Luglio-Settembre 1913, pag. 250 e segg., e la prima autorità da lui invocata è il naturalista Pier Andrea Mattioli, del sec. XVI, senese di nascita ma trentino per elezione. Con ogni diritto quindi rivendicava dinanzi al nostro Parlamento il venerando presidente della Camera elettiva, l’on. Giuseppe Marcora, il

971.   Trentino nostro.

parole da lui dette nella tornata del 27 luglio 1905, commemorando Ettore Socci che: “Milite della patria, è, nel 1866, appena ventenne, sulle balze del Trentino nostro, con Garibaldi” (Atti Parlam., Discussioni della Camera dei Deputati, Sess. 1904-5, vol. IV. pag. 5301). La frase Trentino nostro passò allora inosservata dalla stampa, ma fu invece rilevata da alcuni trentini residenti a Roma i quali si affrettarono a telegrafare al Marcora in termini: “Al Presidente on. Marcora che commemorando le nobili gesta di Ettore Socci disse al Parlamento italiano: Egli ha combattuto nel Trentino nostro, mandano i Trentini residenti in Roma riconoscenti delle fiere e sante parole plauso e fervide grazie.” Il telegramma pubblicato dai giornali richiamò, com’era naturale.