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278 Chi l’ha detto? [868-869]


E nemmeno a troppo ottimismo sono ispirati i noti versi di Arrigo Boito:

868.              Questa è la vita! l’ebete
               Vita che c’innamora,
               Lenta che pare un secolo,
               Breve che pare un’ora;
               Un oscillare eterno
               Fra paradiso e inferno
               Che non s’accheta più!

che sono una strofa (la penultima) di Dualismo, poesia scritta nel 1863 e a’ suoi tempi famosa (Boito, Il libro dei versi, Torino, 1877, a pag. 11).

Ma a coronamento di tutte le umane miserie, viene il giorno estremo, e allora nel libro della vita, delle gioie e dei dolori, delle glorie e delle debolezze si scrive fine, e

869.   Sic transit gloria mundi.1

Queste parole, per un’antichissima consuetudine, si dicono tre volte innanzi al Pontefice novellamente eletto nella cerimonia del possesso, a ricordargli nella solennità del rito quanto sia breve e caduca la gloria terrena. Mentre il Papa seduto nella sedia gestatoria s’avvia processionalmente, co’ flabelli a lato, all’altare papale, nell’uscire dalla cappella Clementina in S. Pietro, trova un maestro di cerimonie genuflesso con una canna inargentata, che in cima porta un ciuffetto di stoppa; un chierico vi appicca il fuoco, e mentre la stoppa fa vampa, il cerimoniere, alzando la canna dice: Sancte Pater, sic transit gloria mundi. E la stessa cerimonia, con le medesime parole, si ripete innanzi alla statua di S. Pietro e di fronte alla cappella dei SS. Processo e Martiniano. Ignoro la fonte delle parole rituali: nella Imitazione di Cristo (lib. I, cap. 3, v. 6) è detto: «O quam cito transit gloria mundi!»

Questo rito che trova riscontro anche in talune cerimonie praticate presso i gentili in circostanze analoghe, quali sarebbero quelle dei


  1. 869.   Così passa la gloria del mondo.