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276 Chi l’ha detto? [860-862]


con molto interesse e profitto (Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ser. II, vol. XXXI, fasc. XIX, 1898, pag. 1436).

Al verso del poeta mantovano va ravvicinata la sentenza dell’epicureo Lucrezio:

860.                                           ....Medio de fonte leporum
Surgit amari aliquid, quod in ipsis floribus angat.1

(De natura rerum, lib. IV, v. 1125-26).

La vita è contristata anche dalla malvagità umana:

861.   Homo homini lupus.2

che è di Plauto (Asinaria, a. II, sc. 4, v. 88), il quale però disse in forma alquanto diversa:

Lupus est homo homini, non homo.

La forma volgare si ritrova in un epigramma di Giovanni Owen:

Homo homini lupus, homo homini Deus.

(Epigr. III, 23; ed. Renouard, Paris, 1794, to. I, p. 79).

in cui il secondo emistichio è tolto dal primo verso di Cecilio Stazio che si trova nelle Epistolæ di Simmaco (IX, 114 [104]) e del resto non è che la traduzione del proverbio greco: ᾶνθρωπος ᾶνθρωπον δαιμονιον (Zenobio, I, 91).

Per cui non ci sorprenda la sconsolante sentenza biblica:

862.   Maledictus homo qui confidit in homine.3

(Geremia, cap. XVII. v. 5).

Di Giannozzo Manetti, uomo politico fiorentino del sec. XV, scrive Vespasiano da Bisticci nelle Vite degli uomini illustri del suo tempo (ediz. Fanfani, pag. 102) che «soleva dire ispesso,


  1. 860.                       ....Di mezzo al fonte
              Dolce d'amore un non so che d'amaro
              Sorge che sin tra’ fiori ange gli amanti (Marchetti).
  2. 861.   L’uomo è lupo per l’altro uomo.
  3. 862.   Maledetto l’uomo che confida nell’altr’uomo.