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[633-638] | Governo, leggi, politica | 193 |
a cagione?) dei molti e complicati trattati, della Società delle Nazioni, ecc. ecc. Sia una pace onorata, che non schiacci sotto intollerabili armamenti, e quindi sotto intollerabili tasse. Perfino Tiberio, a chi gli proponeva di aumentare fuori di ogni discrezione i balzelli, diceva:
637. Boni pastoris esse, tondere pecus, non deglubere.1
Anche Alessandro Magno, secondo che narra Apostolio (IX, 24d), diceva una frase simile: ma c’è qualcuno dei moderni economisti che la pensa diversamente.
Aristide Gabelli diceva, infatti, alla Camera dei deputati nella seduta del 27 luglio 1870 (Discussioni, sess. 1869-70, vol. IV, pag. 3754, col. 1ª): «Finalmente ci si parla dei danni privati. Di questo, signori, non mi occupo.... Noi, o signori, dobbiamo preoccuparci soltanto dell’utile dello Stato, e dobbiamo ritenere ancora che lo Stato è un ente che può avere tutto, eccetto il cuore.» Ma forse la frase doveva intendersi in altro senso, sia che l’utile pubblico si deve in ogni caso mandare innanzi all’utile privato, sia che il compito del governo s’intende limitato ad amministrare e a rendere giustizia, lasciando gli uffici della pietà all’iniziativa privata. Nè altrimenti deve intendersi la frase che si suole attribuire (non so con quanto fondamento) a Napoleone III:
638. La politique n’a pas d’entrailles.2
A tal proposito, e in forma alquanto diversa Camillo di Cavour parlando alla Camera subalpina l’11 ottobre 1860 nella discussione del progetto di legge per autorizzare il Governo del Re ad accettare e stabilire per decreti reali l’annessione di provincie italiane alla monarchia costituzionale di V. E. II, diceva: «So bene che taluno mi dirà che mi faccio illusioni, che i diplomatici non hanno viscere. Anzitutto io, per ragione di ufficio, non ammetto questa sentenza. Ma quando anche ciò fosse vero, io
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