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[605-607] Giustizia, liti 181

ma egli del resto non creò questo aforismo legale, che già si trovava nel Heautontimoroumenos di Terenzio (a. IV, sc. 5, v.47):

              Jus summum saepe summa est malitia.

Il concetto medesimo è espresso in un frammento dell’Heautontimoroumenos di Menandro, da cui Terenzio trasse la sua commedia.

Esso trova riscontro nel biblico:

605.   Noli esse Justus multum.1

(Ecclesiaste, lib. VII. cap. 17).

Di siffatti apoftegmi od aforismi giuridici (paræmiæ juris) è pieno il Foro, e molti hanno anche varcato le mura della curia per diventare popolari e di comune uso. Tali sono i seguenti:

606.   Audiatur et altera pars.2

frase di uso comune presso gli antichi, e usata anche nella eloquenza forense ad Atene: non in questa forma precisa si trova pure in Seneca, Medea, a. II. sc. 2, v. 199-200:

                  Qui statuit aliquid parte inaudita altera.
                  Aequum licet statuerit. haud aequus fuit.

«È nella Galleria degli Ufizi una tavola d’un ignoto quattrocentista: una Madonna col Bambino, pittura di pregio mediocre, opera incerta di alcun povero scolaro di Giotto. .... Sotto cotesta Vergine, che fu certamente affissa in qualche pretorio d’un palazzo di giustizia, una mano indica allo spettatore ed al giudice l’iscrizione in grandi lettere gotiche: Odi l’altra parte» (E. M. de Vogué, ne: La Vita Italiana durante la Rivoluzione francese e l’Impero, II, Milano 1897, a pag. 306).

607.   Impossibilium nulla obligatio est.3

sentenza di Celso jun., Lex 185 Digest., lib. 50, tit. 17, che in altra forma, di origine incerta ma certo della bassa latinità, si cita anche: Ultra posse nemo obligatur; oppure, Ad impossibilia nemo tenetur.

  1. 605.   Non voler essere troppo giusto.
  2. 606.   Si senta anche l’altra parte.
  3. 607.   Non vi é obbligo per le cose impossibili.