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[583] | Gioventù, vecchiezza | 175 |
gusto letterario, del senso comune, della sintassi. Il Piave, conscio della sua inferiorità, fe’ continuo sacrificio del suo amor proprio, tagliando, aggiungendo, accorciando, allungando, secondo le fantasie di Verdi. El maestro vol cussì, e basta: quando il Piave aveva detto queste parole, non occorrevano per lui altre giustificazioni, tanto egli non la pretendeva a poeta: «La me diga versèr....» soleva avvertire con burbera bonarietà. Il Piave, oltre questo libretto dell’Ernani, scrisse pel Verdi, i Due Foscari, il Macbeth, il Corsaro, che divenne poi Aroldo, il Rigoletto, la Traviata, il Simon Boccanegra, la Forza del destino, gli ultimi due libretti rifatti rispettivamente da Boito e Ghislanzoni. Il libretto del Macbeth fu uno dei più ferocemente tartassati dai critici d’ogni tempo. Molti ne parodiavano i versi. E Mario Pascolato narrò a questo proposito un gustoso aneddoto. A una rappresentazione del Macbeth, erano in un palchetto col Piave, Paolo Ferrari e Leone Fortis, che lo tormentavano colle critiche dei suoi versi. Nella scena delle apparizioni dei Re, Macbeth a un certo punto deve dire:
Un terzo?... un quarto?... un quinto?...
— Un sesto?... ed ecco il settimo!
— L’ottavo, il nono, il decimo! —
Il poeta taceva e friggeva. E quelli:
— L'undecimo, il duodecimo....
— Oh, cielo! il tredicesimo!... —
Finalmente il buon Piave, scoppiando: — «Tasè, cani, che xe Verdi!!» — E quella fu tutta la sua difesa: invocare il rispetto.... per la musica del suo Maestro.
A tutti i giovani che leggeranno questo libro auguro non per tanto:
583. Pensier canuti in giovenil etate.