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162 | Chi l’ha detto? | [540-541] |
Conquista del Vello d’Oro (Livorno, 1780), dove Giasone dopo aver perduto una battaglia:
Grazioso il re dice agli afflitti eroi:
Un’altra volta vincerete voi.
(Canto II, ott. 50; ediz. cit., pag. 47).
Il Mari fu immortalato dal novelliere toscano Domenico Batacchi, le cui poesie sono piene di allusioni ridicole al povero canonico. Un esempio della sintassi del canonico Mari è questo: ad un suo poemetto stampato nel 1791 prepose, come d’uso, la seguente protesta: «Le parole Giove, Fato, Divinità ecc. esprimono dei Gentili la falsa religione, non dell’autore la vera credenza che si pregia di non sentire!».
Abbiamo udito dalla bocca del povero Mari come il re Giasone confortasse i suoi fidi dopo la sconfitta. Una consolazione come un’altra! Non era gran cosa di meglio quella di chi si rallegrava che eravamo rimasti
540. Padroni delle acque.
Pur troppo sono parole più da piangere che da ridere, ma sono parole storiche, sono parole dell’ammiraglio conte Carlo Pellion di Persano nel telegramma ufficiale spedito al governo, subito dopo l’infelice battaglia di Lissa del 20 luglio 1866. L’inetto comandante cercava di confortarsi del lutto della giornata con la circostanza che le sue navi, decimate e malconcie, erano rimaste padrone delle acque. Egli stesso vi insisteva nell’opuscolo apologetico I fatti di Lissa (Torino, 1866) pubblicato prima di comparire dinanzi all’Alta Corte di Giustizia: «Esse (le navi italiane) ebbero l’orgoglio di dar caccia al nemico quando volse verso le sue terre, e non avendolo potuto raggiungere prima che ne fosse al riparo, di rimanere padrone delle acque della battaglia» (pag. 26).
Anche il telegramma comunicato ai giornali dal Ministero dell’Interno il giorno dopo della battaglia ripeteva che «La flotta italiana rimase padrona delle acque del combattimento».
Tornando ai vincitori e ai vinti, qui soprattutto si vede che:
541. Le profit de l’un est dommage de l’autre.1
- ↑ 541. Il profitto dell’uno è il danno dell’altro.