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[498-500] | Felicità, infelicità | 151 |
Piuttosto l’uomo bersagliato dalla fortuna potrà cercare conforto nella fede, e questa non glielo negherà mai, se non altro assicurandolo col Savio che le sventure sono segni dell’affetto del Signore, poichè
498. Quem enim diligit Dominus, corripit.1
Forse anche per questo l’antico filosofo chiamò sacri gl’infelici:
499. Res est sacra miser.2
ed. Ruhkopf, Aug. Taur., 1829, vol. IV, p. 492).
Per i disgraziati, che bevvero una volta alla tazza della felicità, ma se la videro troppo presto strappata dalle labbra, un seicentista italiano ha un verso famoso:
500. Appena vidi il Sol che ne fui privo.
Oh fortuna volubile e leggiera! |
Questo capitolo è il XIX tra le Poesie di metro vario, nell’edizioni delle Poesie liriche di L. Tansillo con prefazione e note di E. Fiorentino (Napoli, Morano, 1882), a pag. 167.
Alcuni attribuiscono questo verso, ma a torto, come si vede, a Luigi Groto detto il Cieco d’Adria, il quale, come vuole la leggenda, sarebbe divenuto cieco dopo nove giorni di vita. Ma le parole del Groto non suonano così. Egli nella tragedia Hadriana, così fa dire al Prologo (versi 56-59):