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[333-334] Costanza, fermezza, perseveranza 93

confidava di guarire acquistando la gotta, poiché gutta cavat lapidem, la gotta cava la pietra!

In tempi più barbari dei nostri si fece di questo proverbio una crudele applicazione, traendone un supplizio dolorosissimo, di cui non mancano esempi storici. In una stanza ad uso di prigione nell’antico castello dei conti Guidi a Castel S. Niccolò nel Casentino si osserva ancora una nicchia praticata nella grossezza del muro, che ha nella parte superiore un’apertura rotonda a guisa di una pentola capovolta, con sopra un piccolo foro e davanti un finestrino. Una tradizione molto accreditata vuole che questa angusta cripta fosse un raffinato strumento di tortura, che si sarebbe adoperato chiudendovi il paziente dopo averne introdotta la testa in quella specie di canga, per obbligare la persona a una perfetta immobilità, mentre dall’alto e per il foro indicato dovea di tanto in tanto cadergli sul capo una goccia d’acqua (Beni, Guida illustr. del Casentino, Firenze, 1889, pag. 216).

La perseveranza nel lavoro è bene espressa dalla classica sentenza (che fu detta per Cesare):

333.   Nil actum credens, quum quid superesset agendum.1

334.   Per angusta ad augusta.2

era il motto del Margravio Ernesto di Brandeburgo (morto nel 1642). I frequentatori del teatro lirico l’hanno udito spesso nell’Ernani (atto III, sc. 3 e 4) ove il buon Piave lo introdusse come parola d’ordine dei congiurati contro Carlo V traendolo dal dramma omonimo, Hernani, di Victor Hugo (a. IV), donde egli tolse l’argomento del suo libretto.

Una forma più modesta della fermezza nel sopportare le traversie e le molestie spicciole, è la pazienza che un famoso romanziere bistrattava dicendo:


  1. 333.   Parendogli nulla aver fatto se qualcosa ancora restasse a fare.
  2. 334.   Per vie anguste ad eccelsi luoghi.