incontrato dietro il palcoscenico; ma a benefizio di chi s’era egli ridotto in quello stato? L’opera, di cui si faceva la prova, era, come ho detto, tra le più volgari; adesso aggiungerò che in assurdità sorpassava quel che di peggio si può imaginare. Un re indiano aveva il ruzzo di prender moglie; gli si conduceva una sposa; il re si travestiva da menestrello; la sposa s’invaghiva del menestrello, e se ne disperava, ma poi si veniva a scoprire che il menestrello e il re suo fidanzato erano una persona sola; e tutti cominciavano a delirare dalla gioia. Indiani di codesta sorta non ve n’ebbero mai, nè ce ne saranno mai. Ed era certo del pari che i loro fatti e le loro parole non solo non avevan nulla da fare coi costumi dell’India, ma nemmeno con alcun costume d’uomini, salvo che quelli delle opere. Infatti grazie al cielo gli uomini reali non parlano in recitativi, nè volendo esprimere la loro commozione, si collocano a distanze regolari agitando le braccia in cadenza; non camminano mai a due a due, in babbuccie, con alabarde di stagnola, nessuno nella vita s’adira o si dispera, ride o piange, come si vedeva fare in quella rappresentazione. E che nessuno mai abbia potuto commoversi per una produzione di