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nell’idea morale dell’arte xxxv

scene d’amore fra i due promessi; e che anzi n’erano “la parte più studiata„. Ma nel trascriverlo e nel rifarlo, egli si decise ad escludere tutto ciò, riducendo il racconto dell’amore di Renzo e Lucia all’attuale sobrietà e freddezza e castità di forme, che parve a molti eccessiva. Il Settembrini, infatti, domandava stizzito di che colore fossero gli occhi di Lucia. E se tanta era la ritenutezza del romanziere nel descrivere un amore “che doveva essere comandato e chiamarsi santo„, immaginarsi tutte le sue cautele a proposito della tresca fra Egidio e la Monaca! Per verità, quella figura di Geltrude, così bella, così misteriosa, così degna di tanta pietà anche nella colpa, deve avere lungamente, pericolosamente assediata e quasi sedotta la fantasia dell’autore. Lo si capisce dalla pagina calda e quasi fremente con cui ce la descrive al suo primo entrare nel romanzo, dietro la ferriata del parlatorio. Dunque in guardia, don Alessandro! E nel primo e anche nel secondo manoscritto del romanzo (quello che si conserva alla Braidense) fu levata via con mano rigorosa ogni descrizione che potesse contenere il più piccolo allettamento erotico, salvo, forse, la descrizione della sfiorita ma sempre attraente bellezza della suora; e tutto il seguito della sacrilega avventura tra essa e il libertino, venne troncata di botto con la celebre frase: “la sventurata rispose„.

Di questo suo inesorabile procedere il Manzoni espone molto nettamente il motivo. “Io sono di quelli che dicono che non si deve scrivere d’amore in modo da far consentire l’animo