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nell’idea morale dell’arte xxxiii

specialmente alludere ai suoi ultimi libri; e che affermando la loro somigliante orientazione nel mondo dell’arte, non dimentico le molte dissomiglianze d’indole e di idee, massime religiose e sociali, che intercedono fra i due.

E anche ai tempi diversi bisogna guardare. Quando il Manzoni scriveva e polemizzava intorno all’ufficio delle lettere, certe teorie o non erano nate o non avevano ancora autorità e seguito; onde non ebbe bisogno di scaldarsi e d’inveire (se pur l’animo suo l’avesse comportato) contro dei nemici lontani e ancora invisibili. Il Tolstoi invece, arrivato quando, dalla letteratura del Trenta in poi, tanti cattivi germi avevano avuto campo di svilupparsi, trovò tutta l’Europa già inondata dai peggiori prodotti dell’arte francese mercantile e pornografica; e sentì gridare sui tetti le più strambe teorie e celebrare per grandi e per sommi certi poeti, romanzieri, autori drammatici e musicisti, che a lui parevano la negazione dell’arte seria, sana e benefica. Aggiungansi la sua originale professione di mistico, il suo fervore d’apostolo, i suoi istinti di lottatore agguerrito. Così il suo ultimo libro sull’arte rimarrà meglio spiegato; e meglio sarà inteso il modo con cui ha posto certe questioni, la preferenza che ha dato ad alcune di esse, le grandi verità che ha saputo dire, le esagerazioni e le violenze da cui non ha potuto astenersi.

E sopratutto non dobbiamo mai scordarci che Leone Tolstoi è uno slavo; anzi che egli, come uomo e come scrittore, è uno degli spiriti meglio rappresentativi di ciò che la razza slava può

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