Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
xxxii | Panzacchi, Tolstoj e Manzoni |
tamente a chiunque, per non provocare delle risa.... Tale ragione per me è, che l’uso della favola è idolatria1„. E passa a dimostrarlo. Lo stesso accade nel giudizio che egli reca sul romanzo storico. Sotto quell’acervo mirabilmente ingegnoso e sottile di osservazioni e di esempi onde sono formate le due parti del Discorso, che cosa troviamo in sostanza? Che, stando al convincimento del Manzoni, l’invenzione e la storia, con cui si vuol comporre e fondere il romanzo, riescono a formare un’unità solo “verbale e apparente„, mentre ben diversa era la promessa fatta al lettore; onde il suo spirito s’inquieta e la sua mente è tratta in inganno2. E non bisogna mai ingannare nessuno! Eccoci dunque a un altro caso di coscienza e a un altro precetto del Decalogo.
Che nel sottomettere le invenzioni della letteratura e dell’arte in genere alle strette discipline di un principio morale e religioso, il pensiero del Manzoni e quello del Tolstoi s’incontrino e sostanzialmente si identifichino, mi pare cosa tanto chiara da non avere bisogno di altra dimostrazione. Chi lo credesse necessario, potrebbe con facilità mettere a confronto ragionamenti e sentenze tratte dall’uno e dall’altro. Ma ciò che meglio persuade è il considerare, in complesso, le loro fisonomie di scrittori e cogliere, per così dire, il sentimento profondo e continuo da cui quelle loro fisonomie sono animate. Inutile quasi aggiungere che, parlando del Tolstoi, io intendo
- ↑ Opere varie. Ediz. cit. pag. 783
- ↑ Ib., pagg. 465 e seg.