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xxx | Panzacchi, Tolstoj e Manzoni |
Montesquieu aveva scritto: “Se non fossi cristiano, vorrei essere stoico„. Manzoni dopo aver professato una specie di stoicismo moderno col Fauriel, con Giorgio Cabanis e con Madame Condorcet, volle, prima d’uscire dalla giovinezza, rendersi cristiano. Ebbe per catechista l’abate Degola, che a Roma, non a torto, avevano in opinione di giansenista; ed ebbe per compagna, forse per ispiratrice di conversione, la moglie Enrichetta Blondel, che era nata e cresciuta nella fiera dogmatica di Calvino.
Per quanto la tradizionale bonomia lombarda e la vivacità ironica e l’indole critica dell’ingegno dovessero temperare in lui tutta quella austerità religiosa, è fuor di dubbio che essa sempre lo signoreggiò e lo diresse nella vita: e quindi anche nell’arte. A tacere degl’Inni sacri, che si vollero considerare quasi un corollario immediato della sua conversione, in ogni componimento a cui il Manzoni volge l’animo è impossibile non riconoscere subito il preconcetto di un’alta finalità etica e religiosa. Anche quando non teorizza su questo punto, lo dà per supposto. Ha egli bisogno un galantuomo di professare ogni momento la sua onestà? E uno scrittore deve essere galantuomo due volte: come uomo e come scrittore. Inseparabili quindi nella scelta di un soggetto le sue qualità prettamente artistiche dalla dignità e dalla utilità spirituale. L’argomento d’una tragedia non è buono solo perchè gli dà materia a vestire di bei versi e a mettere sulla scena un contrasto di caratteri e di passioni commoventi. Questo potè bastare,