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xx | Panzacchi, Tolstoi e Manzoni |
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Da quanto ho fin qui riferito del nuovo libro di Leone Tolstoi, ognuno può comprendere che accusatore egli sia dell’arto come è generalmente intesa e professata ai nostri giorni. Accusa non tutta nuova certamente. Chi, per esempio, ricorda la Lettre sur les spectacles di Gian Giacomo Rousseau, si avvede che, alla distanza di più di un secolo, i due spiriti solitari s’incontrarono in più d’un argomento, trattando il medesimo soggetto.
Anche alle idee di Max Nordau è impossibile non pensare; e in particolar modo a molti giudizi d’autori e di opere che si trovano nei due volumi di Degenerazione. Ma qui la somiglianza è piuttosto nelle conseguenze pratiche; anzi solamente in queste; poichè lo scrittore russo e l’ungherese muovono da principî profondamente diversi.
A ogni modo accuse gravissime. È curioso notare che, al principio di questo secolo, il conte Giuseppe De Maistre, il filosofo della Santa Alleanza, sentenziava: Le beau est ce qui plaît au patricien éclairé; e di qui si dedusse tutta una teoria intorno all’arte; e tutti, uomini di parte popolare e di parte patrizia, la vollero considerata del pari come una espressione aristocratica della vita. Al chiudersi del secolo, ecco che un altro patrizio, dal cuore della Santa Russia, si leva a predicare tutto il contrario; e anzi sostiene che les hommes de la société, i Papi, i principi,