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e che il secondo, indubbiamente, mi sarebbe piaciuto di più.

Tuttavia non avevo più nulla da imparare intorno alla questione per cui ero venuto in teatro. Quanto al valore artistico del dramma del Wagner ero oramai così sicuro del mio parere come ero stato rispetto al pregio del romanzo di quella signora, quando essa mi aveva letto la scena tra la donzella dalle chiome ondeggianti, e il cavaliere col cappello piumato alla Guglielmo Tell. Da un autore capace di comporre scene di quel genere, che offendono tutti i sentimenti estetici, non c’era da sperar nulla: si poteva esser certi; senza sentir altro, che qualunque cosa quell’autore avesse scritto, sarebbe stata arte cattiva, poi chè evidentemente egli non sapeva che cosa fosse una vera opera d’arte. Ma intorno a me notavo un’ammirazione, un’estasi generale; e per scoprire la causa di codesta estasi, risolvetti di sentir ancora il secondo atto.

Atto II. — Notte; poi l’alba. Del resto in generale tutta la produzione è decorata di lampi, nubi, chiaro di luna, tenebre, fuochi di bengala, schianti di tuono, ecc. La scena rappresenta un bosco, e in fondo si scorge una caverna. All’ingresso della caverna è seduto un altro attore in maglia, che rappresenta