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XVI | Panzacchi, Tolstoi e Manzoni |
tano e obbligano l’artista a mettere sé e il proprio lavoro in comunicazione col pubblico.... Egli è da questo contrasto che, a guisa di compromessi, vennero formandosi via via parecchie tra tra le forme esoteriche del mondo artistico e contemporaneo: i gruppi, le sétte, le chiesuole, i cenacoli, de’ quali i nomi sono così strani e il numero così grande e la vita così effimera. In mezzo a tutto quel brulichio di comparse e di larve si levavano sempre le medesime voci: — “Noi siamo i nuovissimi jerofanti della forma nuovissima! Pochi possono intendere, pochi possono gustare, poiché la grande arte è dono privilegiato! Non gettiamo ai porci le nostre margherite! Lungi i profani!„ — Inutile avvertire che anche in questo campo, secondo Tolstoi, è quasi sempre Parigi che inventa e dà le mosse: l’Europa e l’America si rassegnano a imitare.
Così, fin che le arti si mantennero fedeli al loro ufficio ideale, che è quello di essere un nobilissimo vincolo di fraternità in mezzo agli uomini, tutte le forme artistiche si mantennero in un lucido contatto con la intelligenza e con la coscienza popolare. Da quando invece vennero volte al piacere estetico, la coscienza popolare, che domanda ben altro, si allontanò da esse, perchè più non comprese il loro linguaggio. Ed esse accolte, protette e adulate in mille modi dai ricchi e dai gaudenti del mondo, si diedero a soddisfare ai loro gusti, sempre più usati e stanchi, con procedimenti sempre più artificiali e complicati. Chiusa la limpida fonte delle idee nuove, che stanno nella coscienza universale come un