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nell'idea morale dell'arte xiii

dell’allegra novellistica boccaccesca e rabelesiana, li fa suoi, li innalza di tono, li circonda di pietà e di melanconie sentimentali, canta le mistiche glorie del senso e i divini spasimi della carne.... Oh come è naturale e come è giusto, conclude Tolstoi, che la sana e grande anima popolare viva straniera a tutta questa arte, la quale altro non può destare in lei se non la surprise, le mépris, ou l’indignation!

Questo abbiettamento profondo, per Tolstoi non è che l’ultimo gradino di una scala per la quale l’arte è discesa, movendo da un punto sbagliato: che l’arte avesse per fine di allettare e divertire gli uomini col piacere della bellezza. Principio falso, tratto da un falso ideale della vita, che venne proclamato, in periodo di decadenza, dai dotti di un piccolo popolo semibarbaro (!) il quale fondava lo Stato sulla schiavitù. Questo popolo imitava mirabilmente il corpo umano e innalzava delle fabbriche gradevoli all’occhio. — Dopo diciannove secoli la teoria greca potè ricomparire in mezzo alla Cristianità e vi trionfava scandalosamente, per opera di umanisti e di preti paganeggianti, che egualmente si allontanavano dall’anima del popolo e dalla verità dell’Evangelo. Furono sempre les hommes de la société che guastarono i disegni della natura.

Il primo guasto lo abbiamo già visto; fu l’erotomania, che era già entrata, come un germe morboso, nell’opera d’arte e che doveva, di mano in mano svolgersi e slargarsi e finalmente cuoprire della sua velenosa e immonda fioritura tutta la produzione artistica, come al tempo nostro.