che il Baudelaire aveva della vita consisteva nell’erigere in teoria l’egoismo più grossolano, e nel sostituire alla moralità un ideale discretamente nebuloso della bellezza, e d’una bellezza affatto artificiale. Il Baudelaire sosteneva di preferire un viso di donna imbellettato al medesimo viso col colorito naturale; gli alberi metallici e l’imitazione dell’acqua sulla scena gli piacevano di più che non i veri alberi e la vera acqua. La filosofia dell’altro poeta, del Verlaine, consisteva nella più abbietta dissolutezza, nel confessare la propria impotenza morale, e nella più grossolana idolatria cattolica presa come antidoto di quella impotenza. Avevano poi entrambi in comune la mancanza assoluta di sincerità, di freschezza e di semplicità, ed erano pieni d’affettazione, di pretensioni e di smania per l’eccentricità. Nei loro scritti migliori troviamo sempre il signor Baudelaire o il signor Verlaine piuttostochè l’argomento di cui sembrano occuparsi. E dire che quei due cattivi poeti hanno fatto scuola, e si trascinano dietro delle centinaia d’imitatori! È un fatto veramente strano: e non ne vedo altra spiegazione che questa: cioè che l’arte di quella società nella quale nascono produzioni simili, non è cosa seria, importante per la vita, ma