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capo settimo 65

intieramente se non quando Federigo Barbarossa ebbegli contrapposto un antipapa, e così più per gl’interessi del papato che non dell’indipendenza. Nè egli o i predecessori sono a biasimare, o tener in minor conto perciò. Chi oserebbe biasimare, ed anzi non lodare coloro, che fecero il proprio ufficio prima che quel degli altri, il loro ufficio maggiore prima che il minore; e che avendo in mano gl’interessi dell’intiera Cristianità e quelli d’un principato od anche di una parte italiana (chè di tutte non l’ebber mai) attesero a quelli sopra questi? In somma, questa fu appunto una delle cause, che quella magnifica guerra d’indipendenza, quella guerra così giustamente incominciala, così costantemente sostenuta, così mirabilmente condotta alla confederazione, così felicemente vinta a Legnano, si terminasse colle paci inadeguate di Venezia e Costanza. Anche Alessandro III, il massimo fra’ papi aiutatori d’indipendenza, riconosciuto che fu papa, lasciò l’impresa, abbandonò i Comuni vincitori; ed io non so chi oserebbe dire che facesse male, o che egli avrebbe dovuto rigettare dalla comunione della chiesa l’imperatore e mezza cristianità per gl’interessi d’Italia. E se si dicesse ch’egli avrebbe dovuto far cessar lo scisma come papa, e continuar la guerra come principe, si farebbe una distinzione impossibile forse a mante-