mo della virtù politica italiana, il secolo ove nacquero que’ Comuni, quella indipendenza, quel primato di civiltà e coltura, onde poi la civiltà e la coltura di tutta la Cristianità. Che se non furono ben ordinati que’ Comuni, non compiuta quella indipendenza, non durevole quel primato nostro, colpa fu, colpa sola ma incommensurabile, di non avere allora fatta continua ed universale in Italia quella confederazione temporaria di Lombardia. Ma che? non eran maturi i tempi; era appena nascente la civiltà; non si sapeva quel sommo dogma politico che la indipendenza si vuol compiere prima di tutto; non s’immaginava nemmeno una indipendenza compiuta dall’imperatore romano. Sciolsesi la lega in parte fin dalla tregua di Venezia, sciolsesi del tutto nella pace di Costanza; pattuironsi, ottennersi i troppo esclusivamente desiderati diritti regali dai Comuni; ma ottenendoli ad uno ad uno, si sciolse la lega, si perdette il più bel frutto della vittoria. E corsi dieci altri anni, i grandi propugnatori della indipendenza, il gran Comune centrale, il capo già della lega, Milano, troppo stolta, festeggiava con applausi e solennità di che restano deplorabili descrizioni, quel matrimonio di Arrigo VI di Svevia con la erede di Puglia e Sicilia, che fece impossibile per gran tempo il compimento d’indipendenza, irrimediabilmente perduta per molti