infermino? E dove non sien questi, non è egli il
fatto, l’abito, la prepotenza inevitabile nelle discussioni
tra più e men forti? Ma, non che contraddirmi,
io credo che questi uomini di governo
sorrideranno, e fors’anco si sdegneranno, che
facciasi questione di ciò che è difficoltà: scusa
loro quotidiana e grande; che non si tenga conto
di lor condizione, la quale implica scusa di
ciò che non fanno, lode di ciò che riescono a
fare, ingiustizia in chiunque li giudica senza tenere
tal conto. In tutti i paesi, in tutte le età del
mondo, noi governati parlammo, giudicammo
de’ governanti; or tanto più che se ne parla e
giudica pubblicamente in molti paesi; e molto
più male ne’ paesi dove non se ne parla così. Se
fosse una pubblica tribuna in Italia, il primo che
vi salisse, vi salirebbe probabilmente ad accusare
i nostri governi; ma il secondo a scusarli colla
dipendenza, in mezzo a cui essi vivono. Ed ho
fede nel senno italiano, che ammessa in generale
tale scusa, non si disputerebbe d’altro se
non del sapere se sia sufficiente in ogni caso particolare.
Finché non è discussione pubblica, è
naturale che si passi da molti il segno della critica;
è naturale, dico, nel volgo; ma non ne’ mediocremente
informati e che vogliano esser retti.
Questi non hanno scusa mai, di non ammettere,
di non cercare essi stessi le scuse altrui.