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lileo, egli il primo la fece tale, con imprudenza e zelo senza dubbio molto perdonabile; ma perdonabile è pure l’imprudenza e lo zelo contrario della curia romana. Ondechè il più imperdonabile in tutto ciò fu la dappocaggine del gran duca, e degli altri protettori, e di molti amici, cioè in somma de’ contemporanei di Galileo. Ma peggio assai è quando, a redimere il Seicento, ci si citano un Masaniello, un Bruno, un Campanella; un pescator capopopolo impazzito tra gli otto dì d’una sollevazione vilissimamente poi terminata; e due frati, nelle opere di cui si ritrovano non so quali semi di alcune idee filosofiche, che si trovano (siccome insite nella natura umana) quasi dovunque si frughi; ma le cui opere e la cui vita furon certamente men di buoni filosofi, che di cattivi teologi, e talora di sciocchissimi astrologi. Meglio citato è Vico, filosofo nuovo e grande senza dubbio, il quale scrisse tra il finir del Seicento e il principio del Settecento; ma l’assoluta trascuranza in che fu tenuto da’ contemporanei, prova la nullità ed abiezione prolungata fino a questi. Nè servirebbe citare un Alessandro Farnese, un Piccolomini, due Villa, Montecucoli o il principe. Eugenio; tutti insigni ed alcuni grandi guerrieri, ma guerrieri di ventura fuor di patria. Le grandezze fuor di patria dimostrano sì, che, secondo la frase d’Alfieri, la pian-