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12. Da quella nuova e pessima condizione fatta all’Italia, incomincia quel periodo stroppo più lungo che un secolo, il quale è svergognato in tutte le memorie italiane sotto il nome di Seicento; periodo della dipendenza diretta più estesa, dell’indiretta più grave, della nazionalità più ridotta che sieno state mai; periodo che rimane quindi per natural conseguenza povero d’ogni operosità e virtù ispiratrice, ricco d’ozii, di vizii e di corruzioni, nelle lettere, nelle arti, negli ordini civili e nell’armi. Questa opinione del nostro Seicento fu già universale, ed era non meno sana che giusta. Giusto era e sano, che un periodo di dipendenza si tenesse per periodo d’abiezione, e l’abiezione per corruzione; giusto e sano, che posto questo nostro secolo xvii col x, si vedesse che da qualunque grado di coltura e civiltà, una nazione può precipitare in dissimili ma pari abiezioni e corruzioni. Ma ora, corre un modo pessimo di storie; una ricerca di erudizioni recondite, di filosofie storiche rovesciate; una smania di negare tuttociò che il senso comune delle generazioni aveva fatto passare in certezze universali; una pretensione di trovare ed insegnare ciò che non fu mai nè insegnato nè saputo. E semplice ambizione di novità? ovvero forse applicazione lata di quel metodo storico, che incominciò colla negazione delle verità, del-