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capo settimo 77

già vecchia coltura; e così questo secolo già terzo della nostra, fu tenuto primo di tutte l’altre, e v’ha nome di secolo di risorgimento. E diciam pure, che noi soffrimmo dunque per tutti. Ma sappiam confessare che non soffrimmo senza colpa; sappiam vedere che tutto quel nostro primato di coltura od anche di civiltà, non ci servì nulla, nè a compiere nè a serbar nemmeno ciò che avevamo d’indipendenza, nulla a salvarci nè da’ lunghi strazii nè dall’ultima abiezione. — La quale fu confermata poi nel 1669 per quella pace di Cateau Cambresis, che lasciò Sicilia, Napoli, Sardegna e Milano in mano a casa d’Austria spagnuola, e l’Italia imbrancata così da’ due estremi. Quando sarà, .che si osi fare una storia di questi! sessanta sei anni, così splendidi e così tristi, da Carlo VIII a Filippo II, da Macchiavello al Tasso, da Raffaello ai Caracci, da Lorenzo magnifico a Cosimo granduca? e che si faccia non coll’animo elegantemente indifferente di Macchiavello o Guicciardini, ma con uno artisticamente sensitivo ed insieme virilmente giudice delle rade virtù, degli innumerevoli vizii, delle varie ma vane meraviglie di quella generazione italiana? A scrivere e far leggere in patria una tale storia, la minor difficoltà verrebbe forse dalle censure; sarebbe cibo da forti palali, da generazioni avvezze o almeno adulte all’indipendenza.