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xxiv | prefazione. |
Il Benci prese a notare alcuni degli errori più gravi della stampa romana, aiutandosi di un esemplare di esso Trattato scritto nel secolo XVI, e da lui ritrovato nella Biblioteca Riccardiana, nel codice segnato di n.° 2190.1
Nè il codice Ottoboniano è da aversi in poco pregio solamente per gli errori da cui è viziato; ma più ancora per mancare di parecchi capitoli, che si leggono nel Laurenziano e nel Riccardiano, pei quali l’opera del Cennini viene reintegrata in ogni sua parte. Nè solo in queste cose è difettosa quella edizione. Il Tambroni volle porre al testo cenniniano alcune note, il più delle quali sono per le voci dell’arte, e intenderebbero a spiegare co’ nomi odierni i nomi di certi colori. Ma, tra per la non molta conoscenza della chimica pittorica ch’era in lui, tra perchè nuovi studi e nuove indagini scientifiche sui colori degli antichi, imprese a fare dipoi, hanno condotto a meglio conoscere la natura e qualità degli ingredienti usati nella pittura e le pratiche nell’operarli; le annotazioni dell’editore romano riuscirono spesso inesatte, e quasi sempre insufficienti.
L’editore romano, nel discorso che prepone al libro di Cennino, è d’opinione, e in ciò segue il Baldinucci, che Cennino componesse il suo Trattato nelle carceri delle Stinche, e lo finisse di scrivere a’ 31 di luglio del 1437; tenendo per vero che il ricordo posto nel codice Laurenziano sia dell’autore, e non, come, stando con Antonio Benci, abbiamo dimostrato noi più sopra, che appartenga invece a chi copiò il libro.
Ma non ostante tali difetti, dovremo sempre saper grado al Tambroni di aver tratto alla luce un’opera di tanta im-
- ↑ Nell’Antologia, quaderno di giugno del 1821.