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prefazione. xxiii

ebbe e parutagli d’importanza grandissima, mise in luce per le stampe in Roma nel 1821.

Egli si giovò di un codice vaticano, rinvenuto da monsignor Angiolo Mai tra quelli della Ottoboniana, segnato di numero 2974, il quale dallo stemma che ha dentro, apparisce essere stato nel possesso del barone di Stosch. Esso è copia moderna, recando segnato in fronte le iniziali P. A. W., dalle quali pare si possa arguire che il suo copista non fosse italiano. Ma o perchè l’amanuense era uno straniero, o perchè il codice da dove egli trasse la sua copia fosse di scrittura malagevole a leggersi, la stampa procuratane dal Tambroni abbonda di errori, di malintesi, e di controsensi, non ostante che egli vi usasse ogni maggiore studio e diligenza per fare buona e corretta la lezione, e fosse aiutato ancora dai consigli e dall’opera di due valenti letterati romani, che furono Girolamo Amati e Salvatore Betti.1

Pure il Tambroni sapeva che nella Mediceo-Laurenziana era un codice di questo Trattato, scritto nel secolo XV: ma egli non volle nè porlo a riscontro coll’Ottoboniano, e nemmeno consultarlo. Della quale omissione fu giustamente appuntato da Antonio Benci;2 nè egli cercò di difendersi con altra ragione, se non di non aver voluto commettere ad altri quel raffronto, dubitando che non gli fosse tolto il frutto di tante sue fatiche, col pubblicare quel codice innanzi a lui; e di avere arguito, dalla descrizione fattane dal Bandini, e dal non esser quel Trattato nè messo alle stampe nè letto dai Toscani, che il Laurenziano fosse un codice così informe e guasto, da non meritare d’essere veduto ed esaminato.3

  1. Tambroni, nella Prefazione al Trattato di Cennino.
  2. Nell’Antologia, quaderno di Giugno del 1821.
  3. Tambroni, Lettera in risposta alle critiche del Benci, nell’Antologia, quaderno d’agosto del 1821.