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xvi | prefazione. |
mo. Ora essendo ciò dimostrato, rimane a sapere in quali termini sia da porre la questione della pittura a olio. Per noi tutta la disquisizione si riduce a questo: 1° nello stabilire che cosa oggi sia da intendere per invenzione della pittura a olio; 2° a chi debbasi dar merito di questa nuova comodità recata all’arte, di cui anche oggi essa si giova universalmente.
Eraclio, Teofilo e il Cennini parlano sempre d’olio di linseme, per mezzo della cottura purificato e reso atto a stemperare e mettere in opera i colori, sopra i quali poi era data una vernice; ed è danno che nè il Cennini (cap. lv), nè gli altri ci dicano di che sostanze fosse essa composta; bastando al Cennini di chiamarla con linguaggio alchimistico, licore dimostrativo; e l’averne taciuto, mostra ch’era cosa ovvia e da tutti conosciuta e adoperata; onde il Cennini, non immaginandosi che dovesse perdersene la tradizione e rimanerne solo il nome, non si dètte cura di descriverne particolarmente la composizione sua, che doveva essere una mistura di sostanze resinose, e più specialmente della resina del ginepro detta sandracca. Questo era il comun metodo di stemperare i colori in antico, secondo che si ricava dagli scrittori nominati di sopra. Ma questo metodo era soverchiamente lungo e tedioso, dice Teofilo.1 Che cosa dunque si richiedeva? Volevasi un olio più sottile e meno viscoso, che fosse più pronto a seccarsi, e una vernice la quale aiutasse questo effetto, e non che alterare o guastare i colori, serbasse invece ai dipinti la trasparenza, la lucidezza, e la vivacità loro.
A chi la pittura è debitrice di questo benefizio? Noi non dubitiamo di affermare che l’arte ne deve saper grado prin-
- ↑ Diuturnum et tædiosum nimit. Cap. XXIII.