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udiva un’armonia soave e indistinta, l’inno di lode che ciascun giorno l’universo solleva, nel destarsi alla vita, al suo Creatore. Entrarono le funzioni della mattina: fra la folla del popolo accolta nella Chiesa, tu avresti scorta presso all’altar maggiore, col capo coperto di un nero velo, in piedi, appoggiala ad una colonna, una giovanetta che, cogli occhi immobilmente rivolti sull’immagine della Vergine, che si vedeva sull’altare tutta risplendente di lumi, sembrava assorta in una dolce contemplazione d’amore. Dallo sguardo abbattuto, dal volto pallidissimo ti saresti però ben accorta ch’ella non aveva dormito nella notte. Più indietro un giovane contadino non le levava gli occhi d’addosso. La giornata riuscì quanto mai si sarebbe più potuto desiderare bella ed allegra. Ritornata il giorno la processione in Chiesa, fu proposto di fare avanti a tutti gli altri, il giuoco dell’antenna. Questo giuoco consiste nell’alzare un grosso e lungo abete piallato e insaponato, sulla cui cima è posto il dono che si vuol fare al vincitore, il quale per guadagnarselo è costretto ad arrampicarsi colle mani e coi piedi lungo l’antenna, fino a che giunto in vetta lo prende colle proprie mani. Il premio suol essere o un abito nuovo, o un cappello, o qualche paio di polli o altre cose di simil genere. Questa volta bastava toccare la bandiera tricolore inalzata sulla punta dell’abete, chè il premio lo voleva dare da sè stesso il possidente. Già tre o quattro avevan tentata la prova, infarinando, secondo il costume, via via che salivano l’antenna per non isdrucciolare, ma nessuno vi riusciva, e quei contadini, che a bocca aperta e cogli occhi spalancati stavano a guardare, facevano delle matte risate ad ogni sdrucciolone di quei malcapitati.

La Cecilia intanto, distolti per poco gli occhi dallo spettacolo, stava insieme ad una comitiva di compagne guardando il magnifico tramonto, quando un nome mor-