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altrimenti li trattenga nel palazzo pretorio in arresto, e ne dia parte al Senato Eccellentissimo.

D’ordine del Pretore, a cui questo foglio era diretto congregaronsi i Consoli, ed in questa congrega davasi loro conoscenza di quanto vi fosse contenuto. L’ordine d’arresto grave bisbiglio produsse, ed in tempi tanto burrascosi, in cui gli animi erano oltre ogui modo esaltati, avrebbe potuto produrre gravissima conseguenza. Per buona fortuna la consueta moderazione prevalse nel consesso, e determinò che si dovesse senz’altra opposizione obbedire agli ordini del Senato col somministrare i venticinque uomini al Pretore, e col ripristinare le solite guardie sui campanili. Intanto quanto più crescevano i mali prodotti dall’intestina guerra, altrettanto maggiore sentivasi il bisogno della pacisicazione. Già eransi spediti a Pavia, dove trovavasi il Conte Carlo Borromeo, Gio. Battista Mellerio da Santa Maria Maggiore, e Vincenzo Gnuva dalle Villette, con incarico di proporre capitoli di pace, e d’invocare per l’accettazione i buoni ufficii, e l’autorità del Feudatario. Ritornato il Conte a Milano, spedivasi colà il Pretore perchè facesse nuove e calde istanze relative al desiderato intento.

Dopo diverse pratiche chiamavansi finalmente in quella Città capitate quattordici uomini della Valle, sette appartenenti all’una, sette all’altra fazione. Avessero questi, dicevasi, ampia facoltà da tutti i guerreggianti non solo per trattare, ma per conchiudere e stipulare la pace generale. Recatisi a Milano i mandatarii, gravi pretese, gravissime lagnanze reciprocamente porgevansi, e tutti volevano trovarsi dalla parte della ragione.

Chè questa è la debolezza di tutti noi miseri mortali in ogni contesa. L’influenza e l’autorità del Feudatario però, che era grande, valse a superare tutte le difficoltà, ed a ripristinare la concordia. I relativo istromento di pace, confermando in pria gli altri già fatti nelli anni 1597 e 1611, fra le molte