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in tratto, ci guardava fiso fiso come colui che vorrebbe, ma che non sa, o non osa parlare. Finalmente egli proruppe dicendo: quanto è mai bella la Valle Vigezzo! quanti bei paesetti tutti vicini vicini l’uno all’altro! che belle case, che belle chiese! dimmi, zio, come e qundo furono essi costrutti? — Io non lo so. — Non lo sai! E non hai dunque letta la storia di questi luoghi? — L’avrei letta, io soggiunsi, se esistesse; ma sgraziatamente non ce ne alcuna. Parlarono di Vigezzo alcuni autori; ma in modo così laconico, così imperfetto da non poter ricavare dai medesimi alcuna certa notizia. Così il Corio, il Ferrari, il Capis appena ne fan cenno: il Bescapè si limita alla designazione delle parocchie; l’Amoretti nel suo viaggio ai tre laghi non parla che di alcuni minerali: il Sottile scrisse poche cose sui costumi Vigezzini: il Ragazzoni si occupa dei soli bagni di Craveggia: il Borgnis della strada carrettiera, ed il Baretti dei combustibili fossili. Ben vedi dunque che neppur sillaba rinviensi del quando nascesse questa nostra Valle, e quali vicende provasse nel progresso dei tempi. — Tanti e tanti paesi, replicò il fanciullo, contano cento libri, che parlano delle loro storie, e questo neppur uno! quanto me ne rincresce! Tu zio dovresti supplire a questo voto scrivendo la storia Vigezzina.
Senza rispondergli parola noi rivolgemmo i passi, e silenziosi ritornammo a casa. L’invito del giovine nepote però ci aveva colpiti a guisa di un fulmine, e non cessava, anche nostro malgrado, dall’occu-