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la poesia di catullo. 85

fu il vero precursore di Virgilio, a cui se rimase molto inferiore nella castigatezza del verso e dello stile, restò solo ed insuperato ed originalissimo nel rappresentar sè stesso, ed in quella magistrevole negligenza, con cui sa riprodurre al vivo i suoi pensieri, i suoi affetti, le sue impressioni.

Noterò, per finire, una strana debolezza del carattere di Catullo. Nell’amore, nell’ira, nella rabbia e nella voluttà egli s’abbandona tutto, scrive ciò che l’anima agitata gli detta, non pensa ai lettori, non bada a nessuno fuor che a sè stesso. Quando la riflessione gli torna e rilegge i suoi versi, si direbbe che egli abbia vergogna di trovarli così ignudi, così sfacciati: non può darsi pace, pensando che la sua vita sia così corrotta, così depravata com’egli stesso la descrive. I buoni istinti non sono in lui tutti morti: Romano, egli crede ancora all’austerità della vita; non ha la toga per nulla. La molle coscienza gli suggerisce un ripiego; egli accusa i suoi carmi per iscusare i suoi costumi:

Nam castum esse decet pium poetam
Ipsum, versiculos nihil necesse est.

È un ripiego che piace a parecchi altri poeti. Ovidio difatti non dubita asserire:

Crede mihi, distant mores a carmine nostro,
     Vita verecunda est, Musa iocosa mihi.

E Marziale, forse con più ragione:

Lasciva est nobis pagina, vita proba est.

Rapisardi 8