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84 la poesia di catullo.

e qualche volta oscuro. Vuol dire a Lesbia ch’egli desidera tanti baci, quante sono le arene di Libia? Egli non sa resistere alla tentazione di snocciolare tutto ciò che ha nella memoria intorno a quei luoghi:

Quam magnus numerus Libyssæ arenæ
Laserpiciferis jacet Cyrenis,
Oraclum Jovis inter æstuosi
Et Batti veteris sacrum sepulcrum.1

Vuol lodare il suo fasèlo per la celerità del corso e la prosperità dei viaggi? Ed ei chiama in testimonio il minaccioso Adriatico, e la Tracia, e Rodi, e il Ponto, e la Propontide e le Cicladi.2

E con la medesima esuberanza descrive a Furio ed Aurelio i viaggi, ch’essi sarebbero capaci d’intraprendere in sua compagnia;3 e così pure invoca Venere:

Quæ sanctum Idalium, Sirosque apertos,
Quæque Ancona, Cnidumque harundinosam
Colis, quæque Amathunta, quæque Golgos,
Quæque Durachium Adrias tabernam.4

A ogni modo, e non ostante certi altri difetti che notano i grammatici, come a dire: l’asprezza di certi versi, il pentametro che non finisce in bisillabo e non chiude il senso, le parole composte, l’abuso delle elisioni e tant’altre bagattelle, possiamo securamente asserire che C. V. Catullo arricchì la poesia latina d’un genere nuovo, rese morbida e maneggevole la lingua,

  1. Carm. VII.
  2. Carm. IV.
  3. Carm. XI.
  4. Carm. XXXVII.