Bisognava conquistare due grandi libertà: quella degli affetti e quella dei capricci. I primi loro tiranni chi sono? I mariti. Cominciano dunque da loro. Li denunziano, li tradiscono, li uccidono.1 In quel sanguinoso baccanale delle guerre civili anche le donne vogliono avere il loro posto: non basta ingombrar di stragi le piazze; bisogna anche insanguinare le pareti domestiche. Si pubblica la legge Oppia? Le donne romane si uniscono in congiura, domandano minacciosamente r abrogazione della legge; mettono sossopra il senato.2 Aiutate dall’affetto dei genitori riescono ad eludere i rigori della legge Voconia, legge iniquissima, che al diritto del sangue sperava poter sostituire impunemente il diritto politico; fatta, come dice Cicerone, utilitatis virorum gratia, in mulieres plenae injuriae.3 Aiutate dall’astuzia e dalla seduzione, e facendo tesoro della disposizione, che accordava loro il diritto di scegliere il tutore,4 ne scelgono uno a lor comodo. Lo menano pel naso a piacere, lo tengono nella rete, deludono la vigilanza del tutore legittimo, riducono la tutela nelle proprie mani.5 Il tribunale domestico, le accuse pubbliche cadono insieme ai buoni costumi.6 La legge chiude un occhio, concede, transige. Non è più tempo: la legge Papia Poppea non basta: le donne han guadagnata la mano alla legge; corrono all’abisso della corruzione.
- ↑ Valer. Massimo}, lib. II, 5 e Appiano, De bellis civilib., IV.
- ↑ Tito Livio, lib. IV, 4.
- ↑ De republ., III, 40.
- ↑ Gaii, Istit. com., 148.
- ↑ Troplong, loc. cit.
- ↑ Montesquieu, loc. cit.