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56 | lesbia. |
trariarli, a soffocarli del tutto, per crearne poi altri più o meno artificiali e posticci. Un padre che uccide il figlio vittorioso, perchè ha osato vincere senza il suo comando, è un eroe; una madre che porge al figlio un pugnale per sottrarsi con la morte ai nemici, è l’ideale delle madri. In Roma, mi si permetta la frase, il cittadino non nasce dall’uomo; non si può essere uomo e cittadino ad un tempo; perchè nasca il cittadino, bisogna che l’uomo si uccida. La legislazione e la filosofia tendevano a questo principalmente; una delle precipue cagioni della decadenza di Roma è quest’educazione sforzata e fittizia, innalzata non sulle basi, ma sulle rovine della natura umana. La dolcezza, la moderazione, quel non so che di timido e d’irresoluto, che distingue essenzialmente la donna, e forma il corredo più bello delle nostre giovanette, non era dai Romani tenuto in conto.
L’ideale di tutto la forza. Quanto più una fanciulla tenea del maschile, tanto più meritava l’ammirazione e l’affetto. Le figlie dei patrizi venivano educate insieme ai loro fratelli; le ragazze del popolo frequentavano, come in America, le scuole comuni ai due sessi. Il canto, la danza, la musica, tutte quelle arti credute indegne della gravità degli uomini, erano parimente vietate alle donne. Questa educazione comune producea necessariamente due mali: distruggea nella donna quel tesoro di grazia e di dolcezza, che la natura le ha dato; svolgeva al massimo grado il sentimento dell’eguaglianza col sesso opposto. Certo, come dice Boissier, quando si vuol dare alla donna una parte importante ed attiva nelle lotte della vita, è mestieri ch’essa abbia quelle